Quindi, come riconoscere un falso? Secondo il grande studioso di Albrecht Dürer, Friedrich Winkler “: 

«Per affinare la propria capacità di distinguere ciò che è autentico, il migliore esercizio è riconoscere ciò che è falso»

Attraverso un immaginario dialogo con il grande Eric Hebborn, il celebre falsario suggerirebbe a Winkler:

«E chi meglio di un falsario consumato può riconoscere ciò che è falso? Un tempo non soltanto gli artisti si formavano eseguendo copie e imitazioni, ma anche gli studiosi e tutti coloro che volevano diventare esperti. Sono dell’avviso che quella pratica dovrebbe essere ripristinata: integrando gli studi normali con l’apprendimento diretto delle tecniche di maestri antichi si otterrebbe una conoscenza dell’arte ben più profonda di quella data da un approccio puramente accademico»

Heric Hebborn

Fino a metà dell’800 scoprire un falso, dunque è stata ardua impresa. Le indagini, alla “Sherlok Holmes”, erano affidate ad un esperto d’arte il quale con il proprio giudizio critico, che si basa sull’esperienza, sui confronti e sulla valutazione-relazione tra le qualità artistiche del dipinto in questione ed il suo ipotetico corrispettivo “autentico”, decretava la falsità o l’autenticità dell’opera in questione, la cosiddetta expertise.

L’Expertise, parola francese che significa letteralmente perizia, a sua volta derivante dall’etimo latino “perìtia”, da perìtus “esperto” (eseguita da un perito esperto iscritto all’albo dei periti), viene utilizzata, nel linguaggio tecnico proprio degli storici dell’arte, per indicare un documento ufficiale contenente le caratteristiche tecniche di un’opera d’arte. Tale documento ne certifica la sua autenticità, l’epoca, lo stato di conservazione, eventualmente il valore. Nel suo insieme l’Expertise è il documento d’identità di un’opera d’arte, composto in genere di una parte scritta con indicazioni, storico/critiche, tecniche ed economiche, e di una parte di allegati, a sua volta distinta in fotografie indicative dell’opera e documenti vari (biografie, foto comparative, dichiarazioni di provenienza e/o d’acquisto, ecc.).

L’expertise, dunque, consiste in una dettagliata relazione per la valutazione dell’originalità e dell’inquadramento storico-artistico dell’opera in esame, qualunque sia la natura del bene, e/o un quadro, un mobile o un’altra opera figurativa.

È ora opportuno precisare che le modalità di attribuzione e di autenticazione di opere sono diverse e variano a seconda che si tratti di un’opera di autore vivente o defunto. Procedendo con ordine, infatti, nel primo caso il venditore può rivolgersi direttamente all’autore stesso, secondo quanto previsto dall’art.20 della legge sul Diritto d’autore (cfr. legge n.633 del 22 aprile 1941, di seguito per brevità anche “LdA”).

Diversamente, è capitato che alla morte di un artista, diversi soggetti, persone fisiche o giuridiche, abbiano ritenuto di essere titolari di un diritto ‘esclusivo‘ che attribuisca loro il potere di stabilire se l’opera è autentica. Ciò ha riguardato gli eredi, gli assistenti dell’artista, gli storici dell’arte, gli esperti o frequentatori dello studio dell’artista.

Ma da quando l’essere umano ha iniziato a falsificare manufatti artistici? Si potrebbe benissimo rispondere con un perentorio “da sempre!”. Banalmente, fin dalla notte dei tempi, l’uomo risposto al desiderio di riprodurre un qualsiasi manufatto ascrivibile alla dimensione del mito o considerato meritevole di una forma di venerazione, comunque unico o raro.

Le prime falsificazioni storiche furono prevalentemente legate alla simulazione dell’oro e dell’argento; Plinio il Vecchio, menziona l’esistenza di trattati didattici per la fabbricazione dei gioielli falsi e si conoscono pratiche riguardanti il trattamento artificiale delle gemme, atti a migliorarne e a modificarne il colore.

Stando alle fonti letterarie ed anche a numerosi reperti, le prime contraffazioni artistiche risalgono, dunque, alla Roma della tarda età repubblicana e proseguirono per tutta l’età imperiale. Il fenomeno del falso artistico nasce nelle regioni dell’Oriente ellenistico e della Magna Grecia, tra il sec. I a.C. e il I d.C., quale risposta alle richieste del ricco mercato romano che ricercava prodotti di provenienza greca, di quell’area culturale considerata esemplare e alla quale si cercava di attingere con la ricerca di copie o di originali (spesso appunto falsificati) atti a soddisfare le richieste di una consistente clientela.
La circolazione di sculture e argenterie firmate da Mirone, Fidia e Policleto è stata ampiamente documentata anche da illustrissimi testimoni come Fedro, Marziale, Cicerone, Plinio e Luciano.

Nike di Samotracia, II secolo circa, Museo del Louvre, Parigi

Il Medioevo è caratterizzato dal curioso fenomeno della falsificazione delle reliquie cristiane: frammenti e chiodi della vera croce sufficienti a costruire un paio di galeoni, oppure, un numero tale di vertebre di S.Antonio da presupporre che il santo fosse stato alto più di 15 metri…Il fatto che queste presunte reliquie siano per la maggior parte ancora al loro posto, ben conservate e spesso ostentate in varie funzioni religiose, è la più imponente deroga all’autenticità che ci siamo mai dati, in nome di una verità dogmatica.

Durante il Rinascimento, come ho già detto, molti pittori tra quelli di maggiore successo hanno assunto apprendisti che si formavano copiando le opere e lo stile del maestro e poiché all’epoca era l’apprendista a dover pagare per la propria formazione a “bottega”, sovente le opere realizzate da questi venivano vendute a rimborso dell’apprendistato. Questa pratica, generalmente considerata un lecito tributo, produceva anche opere che con il trascorrere del tempo sono state erroneamente attribuite al maestro stesso.

Bottega del pittore, Philip Galle, XVI

Va detto che, il fenomeno del collezionismo, che affonda le sue radici proprio nel rinascimento, contribuì moltissimo a far proliferare il mercato di oggetti d’arte contraffatti. Infatti, con il diffuso e rinnovato interesse per la classicità e la passione umanistica, per la cultura greca e latina, i grandi collezionisti dell’epoca non faticarono a procurarsi falsi codici, vasi o sculture che riproducevano, magari in maniera frammentaria per accrescere la verosimiglianza, i busti degli antichi filosofi o degli uomini illustri. Tutto ciò si mescolava fatalmente con quei manufatti realizzati solo con il nobile intento di celebrare l’arte classica, generando innumerevoli “casi sospetti”. A tal proposito si ricordi l’episodio, forse più celebre della contraffazione rinascimentale, del Cupido dormiente eseguito da un giovanissimo Michelangelo: la scultura in marmo, oggi perduta, venne spacciata per antica. Sotterrata e acconciata in modo da sembrare antica l’opera fu venduta al Cardinale Raffaello Riario il quale, venuto a conoscenza della falsificazione, rifiutò la scultura ma venne colpito dalla bravura del giovane Michelangelo, introducendolo nell’ambiente artistico romano, aprendogli di fatto la strada verso il successo.

Ricostruzione (1920) dello Studiolo di Francesco I de’ Medici, 1570/72, Palazzo Vecchio, Firenze
Possibile aspetto del Cupido dormiente

In età barocca troviamo grandi nomi dell’arte, che dipingono imitando i grandi del passato, con l’intenzione assolutamente non commerciale ma soltanto virtuosistica. Uno su tutti Luca Giordano, meglio conosciuto come Luca Fapresto. Egli assume stili diversi secondo il committente, secondo l’opera che deve realizzare. Sa insomma operare con più registri. Usa la maniera di Ribera o di Rubens o di Pietro da Cortona o ancora di Paolo Veronese. Il camaleontico Giordano si cala schizofrenicamente nella personalità degli altri artisti. Per un certo periodo, all’inizio della carriera, farà anche il falsario. Per lui produrre il falso non significa truffare, quanto misurare concretamente la sua capacità di mimesi. C’è un simpatico episodio, contenuto in un resoconto settecentesco, che fa capire cosa significasse produrre quadri falsi a quell’epoca: il padre di Giordano fu un modestissimo pittore, ma pure un mercante d’arte con ottime intuizioni. Fu proprio il padre ad indirizzarlo a Roma, dove Luca potè studiare le opere di Annibale Carracci, di Michelangelo, di Raffaello. Le studiò così bene che Luca Giordano produsse un opera alla maniera di Dürer, che il padre vendette al priore della certosa di San Martino di Napoli come opera autentica.
Al priore, tutto contento, gli viene rivelato subito dopo dallo stesso mercante che l’opera, in realtà, è frutto del lavoro del figlio. Non scoppia nessuno scandalo. La capacità di Luca di arrivare a notevoli vette espressive viene interpretata come un dono, come una conferma del livello a cui è giunto il giovane pittore.

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Il Settecento vede diffondersi in tutta Europa, l’entusiasmo verso l’archeologia. Pompei ed Ercolano vennero riportate alla luce in quel secolo. Contemporaneamente, i progressi della filologia, fanno si che lavoro dei falsari divenga sempre più sofisticato e qualitativamente ineccepibile, pena l’immediata identificazione della frode. A Napoli uno dei centri prediletti del grand tour, prosperava la produzione di opere antiche ad opera di artisti di notevoli capacità tecniche, rivolti soprattutto alla pittura pompeiana.

E’ tuttavia nel sec. XIX che il fenomeno acquista le dimensioni e le connotazioni che tuttora lo caratterizzano; In quel periodo si imitano, ma ormai è il caso di dire si falsificano intenzionalmente, in particolare i grandi maestri del Rinascimento, e i cosiddetti “primitivi”, per la sollecitazione di mercanti disonesti pronti a soddisfare le richieste di una sempre più vasta clientela di collezionisti.

Tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento si affermano le personalità di alcuni famosi falsificatori: Giovanni Bastianini, Alceo Dossena, Pietro Fantini, Icilio Federico Joni. Il campo cui essi si dedicarono va dalla scultura greca a quella trecentesca e rinascimentale, alla pittura senese quattrocentesca. Essi furono così tanto famosi che si costituirono un vasto pubblico di collezionisti. Mentre i falsi d’autore vengono venduti per poche centinaia di euro, i loro falsi vengono battuti anche a 30 mila/40 mila euro.

Alceo Dossena

Più sofisticato e selettivo è il mercato falsario del secolo scorso: un discorso a sé merita il pittore olandese Hans van Meegeren (1889-1947), che con i suoi falsi Vermeer riuscì a trarre in inganno insigni studiosi e collezionisti.

Van Meegeren dipinge il suo “Cristo tra i dottori” nel 1945.

Negli anni a noi più vicini, la tradizionale attività del falsario si indirizza anche verso opere di arte contemporanea. Questa può sembrare operazione più facile rispetto alla falsificazione di opere d’arte del passato, e di fatto lo è: i supporti invecchiati sono facilmente reperibili, i colori non possono rilevare chimicamente difformità, poiché sono frutto di perduranti produzioni industriali, e i guadagni, considerati i tempi di produzione e la valutazione rispetto a dipinti antichi, sono altamente lucrosi.

Lucio Fontana mentre realizza uno dei suoi quadri

Ma l’affaire delle famose teste di Modigliani, fatte trovare nel 1984 nei fossi reali di Livorno dimostrano come sia alquanto affrettato dare un giudizio tramite criteri puramente tecnici, avallati per di più da fonti storiche non confermate.

Luridiana, Ghelarducci e Ferrucci, gli autori della “beffa di Livorno”, 1984

Per le opere contemporanee, si tendono quindi a considerare di rilievo dirimente i passaggi di proprietà e, soprattutto, se esiste, una prova di vendita dal gallerista del pittore o dal pittore stesso al primo cliente.
La situazione idillica, per si accinge a vendere un opera d’arte, ma anche per chi la valuta, prevederebbe che un dipinto, acquistato da un primo proprietario nel corso di una mostra dotata di un catalogo nel quale appaia l’opera in questione, sia dotata di una ricevuta di vendita. Nelle vendite all’asta, tutti questi passaggi vengono analiticamente documentati. E ciò dovrebbe avvenire in ogni altro caso di vendita-acquisto, non solo con la dichiarazione di autenticità rilasciata dal venditore, ma con il passaggio di tutti i documenti storici che si riferiscono all’opera. In caso contrario essa – per quanto autentica – è molto più esposta ai rischi di “bocciatura” da parte delle fondazioni o dei futuri acquirenti.

In questo ambito una funzione attributiva molto importante è svolta dalle Fondazioni, sorte per tutelare l’immagine del pittore dal quale prendono il nome. Di solito sono composte da un familiare dell’artista e da critici che l’hanno frequentato e studiato. Le Fondazioni sono generalmente caratterizzate da criteri restrittivi. Si tende cioè a non riconoscere opere controverse o sperimentazioni, magari autografe, ma non ben documentate o che sfuggano al ricordo personale. Certo è il fatto che un’opera approvata da una fondazione seria ottiene un passaporto di autenticità estremamente valido. Ma è altrettanto vero che anche le fondazioni stesse si possono falsificare; può anche nascere una “casa natale” in un luogo mai visitato da un artista, oppure ospitare un vero e propiro laboratorio per produrre falsi od oggetti utili atti alla falsificazione (timbri, matrici, ecc.).

Se i riferimenti sinora forniti hanno riguardato quasi esclusivamente opere pittoriche e scultoree, occorre precisare che, per le incalzanti richieste di mercato, non vi è settore della produzione artistica che non sia stato oggetto di falsificazioni.

Facendo riferimento alla produzione artistica il falso è dunque da intendersi come un oggetto realizzato ed immesso sul mercato, con la precisa intenzione d’ingannare. Sotto il profilo giuridico, l’evidenza di tale dolo è elemento determinante per definire questo reato.

Ma il concetto di falso, come frode legalmente perseguibile, è purtroppo relativamente moderno, risale infatti alla fine del secolo scorso ed è strettamente connesso da una parte, con il pieno riconoscimento del diritto d’autore mentre, dall’altra, con l’espletamento di norme giuridicamente ben definite da i vari ordinamenti nazionale ed internazionali. Tale diritto venne sancito, per la prima volta, in Inghilterra nel 1735. Con questo atto si iniziò a parlare di falsificazione, distinguendola quindi dall’imitazione, e i falsari divennero soggetti a una pena effettiva, mentre fino ad allora rischiavano soltanto una condanna morale.

In Italia, il reato di contraffazione di opere d’arte è attualmente previsto dall’art. 178 del testo unico sui beni culturali e ambientali, approvato con d.lgs. 22 gennaio 2004. La legge n. 1062 del 1971 configura invece tutte le varie ipotesi in tema di contraffazione od alterazione di opera d’arte: la legge punisce tutti coloro che, al fine di trarne profitto, contraffacciano, alterino o riproducano “un’opera di pittura, scultura o grafica, ovvero un oggetto di antichità o di interesse storico od archeologico. Trattasi quindi di un reato comune, potendo essere perpetrato da “chiunque”, ma che, affinché si configuri, necessita dell’elemento soggettivo del dolo specifico.

Se i riferimenti sinora forniti hanno riguardato quasi esclusivamente opere pittoriche e scultoree, occorre precisare che, per le incalzanti richieste di mercato, non vi è settore della produzione artistica che non sia stato oggetto di falsificazioni.

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